Pochi giorni dopo le manifestazioni dei tassisti italiani a Roma, Napoli e Milano, in sciopero contro il Ddl Concorrenza, scoppia lo scandalo per il colosso dei trasporti privati statunitense Uber.
Un team di 180 giornalisti facenti parte di un Consorzio Internazionale Investigativo è entrato in possesso di circa 83 mila documenti, tra mail, messaggi e chat, ai quali se ne aggiungono altri 124 mila che risalgono al periodo 2013-17. Da i così detti “Uber Files”, visionati da testate quali The Guardian, Washington Post e LeMonde, è emerso il modus operandi di Uber per potersi espandere oltre i confini a stelle e strisce.
Secondo quanto riferito, la società con sede a San Francisco, che ha un valore superiore ai 43 miliardi di dollari, sarebbe riuscita ad operare nel Mondo grazie a una reiterata violazione delle leggi e attraverso una fitta rete di lobbying che ha visto coinvolti personalità di spicco del settore media ma soprattutto politici, capi di Stato e primi ministri.
Uber, infatti, avrebbe sborsato una cifra intorno ai 90 milioni di euro per intensificare le relazioni pubbliche, intrattenendo rapporti anche con nomi noti del panorama politico mondiale. Come ricostruito dalla documentazione, i vertici societari avrebbero intrattenuto conversazioni con l’allora Ministro dell’Economia francese, e futuro Presidente, Emmanuel Macron, ma anche con il premier irlandese e quello israeliano. Ma non solo: come evidenziato dal The Guardian, Travis Kalanick, uno dei fondatori di Uber, si sarebbe incontrato anche con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden in occasione del World Economic Forum di Davos, dal quale il numero uno della Casa Bianca avrebbe fatto un discorso di elogio per gli amministratori di società come quella in oggetto.
Le azioni di Uber, però, non si sarebbero esaurite con operazioni di lobbying. Anche professori universitari sono stati avvicinati per pubblicare studi sui benefici economici relativi all’esistenza di realtà imprenditoriali del genere, ai quali si aggiungono le pressioni per organizzare delle contro proteste rispetto a quelle dei tassisti, con protagonisti gli autisti della società statunitense, malgrado i rischi di uno scontro fisico: «Credo ne valga la pena. La violenza garantisce il successo”, avrebbe detto Kalanick.
Una frase riassume pienamente quanto fatto da Uber negli anni precedenti, proferita dal capo delle comunicazione nel 2014: “A volte abbiamo problemi perché siamo dannatamente fuorilegge”, ma anche “Siamo diventati dei pirati”, dichiarato da uno dei manager, a riprova delle consapevolezza da parte dei vertici societari.